Qualcuno lo chiama complesso di inferiorità.
Nel senso che ha un senso chiamarlo complesso di inferiorità. Ma invece secondo me ha più a che fare col senso di dignità. O meglio ancora col significato di indegnità.
Ho passato un bel pezzo della mia vita a non sentirmi degno. Di quello che stavo facendo, degli amici, complici, amanti che avevo accanto, della vita che mi ero cucito addosso fino a quel momento.
Poi succede che un po' impari e un po' sono le migliaia di euro di psicoterapia che iniziano a fare effetto. E alla fine di tutta la fiera, nella bocca dell'anima ti resta un retrogusto di indegnità. Uno sputazzo. Un rigurgito, come quando mangi il pesto buono, che è buono per davvero, ma un po' l'aglio alla fine ti rinviene anche a te - che ti dà anche un bel po' fastidio ammetterlo, tanto ti piace il pesto e quanto ti stanno antipatici tutti quelli che ripetono in continuazione che "eh, sarà anche buono il pesto, ma dentro c'è l'aglio e poi a digerirlo...".
E allora ti ritrovi una sera a cena con dei colleghi. Nessuno sta mangiando il pesto, nemmeno tu. Non è importante. Ma invece quello che è importante è che al posto del pesto, mentre state chiacchierando amabilmente, ti fanno raccontare qualche pezzetto della tua vita. E si parla a turno. Di questo e di quello. E poi si parla anche di musica. E poi si parla anche di Lucio Dalla. Vai a sapere come ci siamo arrivati. Comunque sia, quando si inizia a parlare di Lucio Dalla, tu dici che era un bravo Cristo, Lucio Dalla. Che ci hai lavorato per dei mesi e che ti sei sempre trovato proprio bene, con Lucio Dalla. Che siete andati anche in Irlanda con Lucio Dalla, per più di due mesi. E che a un certo punto in una pausa dalle prove siete anche finiti nella stessa Jacuzzi dell'unica palestra dell'unico hotel che c'era in quel posto in Irlanda dove eravate andati a lavorare. A confessarvi l'un l'altro, a raccontarvi della vita con Lucio Dalla e a ribollire come zamponi. O meglio come un ciccione e una scimmietta che ribollono nell'unica Jacuzzi, dell'unica palestra, dell'unico albergo che c'era da quelle parti. Con Lucio Dalla.
E allora, a quel punto i tuoi colleghi che hanno le gambe tutti sotto lo stesso tavolo dove ce l'hai anche tu, strabuzzano gli occhi e una di loro dice "Madonna, ma che vita hai fatto te?".
Che vita ho fatto io?
Prima l'ho chiesto a lei che aveva davanti un pollo arrosto che avremmo pagato carissimo (che era meglio che andavamo in un posto dove c'era del pesto nel menù). E poi me lo sono chiesto da me. E un po' me lo sto continuando a chiedere. Sia a tavola, parlando coi colleghi che ti fanno raccontare pezzetti della tua vita - anche se non stai mangiando il pesto - che prima... e pure che dopo.
E alla fine me lo chiedo. E me lo chiedo in continuazione. Ma che vita ho fatto io?
E il bello è che mi sono reso conto che non mi sono mica ancora reso conto di che vita ho fatto, io. E che forse dovrei rendermene conto... O che dovrei rendergliene conto. Alla vita che ho fatto.
Adesso ci penso ancora un po' ma secondo me, mi sa è venuto il momento che dovrei rendergliene conto alla vita che ho fatto. E che magari mi metto lì e qualcosa la butto giù.