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Contare meno delle statue

Contare meno delle statue

Sep 27, 2024

di Corinna De Cesare

Se il governo fosse ossessionato dal contrasto alla violenza di genere nella misura del 10% di quanto lo è per il contrasto di manifestanti, ambientalisti e attivisti, probabilmente non avremmo già 79 donne ammazzate dall'inizio dell'anno. Contiamo meno dei culi delle statue di piazza Duomo, dei muri imbrattati di vernice lavabile, meno dell'asfalto delle strade per la cui difesa hanno messo in piedi in tempi record un ddl con più di venti nuovi reati. Ddl sicurezza, l'hanno pure chiamato, "priorità assoluta" ha detto il ministro Salvini.  

Giacomo Biaggio - Ultima Generazione - ha lanciato vernice bianca e coriandoli sulle gradinate del Foro italico, ha interrotto una partita da tennis, partecipato ad altre manifestazioni ambientaliste ed è per la Questura un "sorvegliato speciale come un mafioso". Agli uomini abuser, violentatori, quelli che maltrattano le donne e che poi le ammazzano, mettono invece braccialetti elettronici disattivabili. O gli lasciano direttamente le pistole, l'arma più utilizzata per ucciderci.

Nel 64% degli omicidi famigliari, l'assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi. Una percentuale destinata ad aumentare, vista la prossima approvazione al Senato del suddetto ddl sicurezza che oltre alla totale repressione di ogni forma di dissenso (e messa in discussione del diritto allo sciopero), estende alcune libertà sulla possibilità degli agenti di sicurezza di portare l'arma con se' anche quando non in servizio.

Come l'agente Massimiliano Carpineti, che lavorava alla Camera dei deputati e che nel 2023 uccise con la pistola d'ordinanza la collega Pierpaola Romano nell'androne di casa sua. O come Christian Sodano, maresciallo della Finanza di Minturno, che ha ucciso pochi mesi fa madre e sorella della ex a Cisterna di Latina. O come Giampiero Gualandi, ex comandante della Polizia locale che ha inscenato un delitto accidentale direttamente nel suo ufficio, ammazzando Sofia Stefani con cui aveva avuto una relazione. 

Chi controlla i controllori? verrebbe da chiedere a questo governo, che alla nostra sicurezza ci tiene così tanto da voler tutelare statue e monumenti ma non le donne, in carne e ossa: in carcere se tiri i coriandoli al Foro italico, in carcere se blocchi una strada o se picchetti per protestare.

Una pacca sulle spalle invece agli uomini denunciati per stalking e maltrattamenti in famiglia, occhi aperti e testa sulle spalle, anni di attesa e burocrazia per decreti di allontanamento, braccialetti elettronici efficaci come quello che indossava a Torino il marito di Roua Nabi, spento mentre l'ammazzava a coltellate davanti ai figli.

Una pistola invece è quella che ha usato Roberto Gleboni, raccontato sui giornali come "una persona leale, sincera, amica e sempre sorridente". Così leale, sincera, amica e sempre sorridente che alle 7 di mattina ha svegliato a Nuoro moglie e figlia con una calibro 7.65 legalmente detenuta per uso sportivo e per cui gli era appena stato rinnovato il porto d’armi. Prima di suicidarsi, Roberto Gleboni ha sparato anche agli altri figli presenti in casa e a sua madre, 85 anni, raggiunta nella sua abitazione mentre faceva colazione. Nel tragitto per andare da lei, Gleboni ha incontrato un vicino sulle scale: ha sparato pure a lui.

E mentre sui social partiva la corazzata dei negazionisti dei femminicidi - ha sparato a tutti! Non è un femminicidio! -, emergeva dagli abissi social di queste due donne cristallizzate per sempre, la dedica della tesi di laurea di Martina Gleboni al papà: "L'amore più grande della mia vita". A ricordarci che non sono sconosciuti, serial killer o mostri ad ammazzarci ma partner, ex, parenti, mariti, padri, amanti, colleghi di lavoro non ricambiati. Che non accettano addii, separazioni, libertà femminile e vogliono invece il controllo dei nostri corpi, delle nostre vite.

Uomini che molto spesso hanno armi in casa ma che a differenza degli ambientalisti (come Giacomo Baggio) non subiscono nessuna richiesta di sorveglianza speciale come persone pericolose. Eppure basterebbe seguire le indicazioni di Centri antiviolenza e dei trattati internazionali, formare magistrati e poliziotti (che invece continuano a sottovalutare), portare l'educazione di genere nelle scuole anziché rincorrere un nuovo oscurantismo che puzza di passato e ideologia. Hanno troppo da fare, la sicurezza prima di tutto, "priorità assoluta": i culi delle statue prima delle nostre vite.  

di Valentina Farinaccio

Una volta un uomo mi disse che avrei dovuto scegliere degli abiti più sexy. Quelli che usavo, secondo lui, non mi valorizzavano abbastanza. Mentre lo diceva, lui indossava un pile di Decathlon e dei pantaloni tecnici con le tascone laterali. Le chiavi di casa e del suo studio le portava appese al collo, come un gioiello. 

Una volta un uomo mi disse che mi lasciava perché non stavo al suo passo. Troppo veloce lui, troppo lenta io. Oggi giro la testa e lo guardo da qui, da lontano. Così lontano, che non lo vedo più.

Una volta un uomo mi disse che la mia scaramanzia era una grave forma d’ignoranza, una stupida credenza. Prima di entrare in scena, però, mi ha toccato il culo: perché in teatro si fa, porta fortuna.

Una volta un uomo mi disse con un sms che lo aveva ficcato. Usò questo verbo, il verbo ficcare. Avevamo una relazione e io poco più di vent’anni. Gli sembrò naturale comunicarmi in quel modo, con quella parola, che aveva appena avuto un rapporto con un’altra donna. 

Una volta un uomo mi disse che voleva vedermi per propormi un lavoro, una collaborazione. Nel suo ufficio aveva un divano, potevo sedermi lì. Mi si era messo accanto, disinvolto, bello comodo, e aveva cominciato a leggermi delle pagine tratte dal suo prossimo romanzo, ci teneva molto al mio parere. Leggeva con voce suadente, bassa, ma aveva scelto, guarda caso, delle pagine erotiche: capezzoli turgidi e falli in erezione, lei che si eccita nel sentirglielo duro, lui che allora la scopa.

Mentre leggeva, scivolava verso di me, fino quasi a stendersi del tutto. Io mi spostavo sempre più in là, sempre più in là, non volevo che le sue gambe mi sfiorassero. Intanto il divano era finito, e mi ritrovavo seduta e rimpicciolita sull’orlo di un burrone. Imbarazzata, agitata, chiusa come un lucchetto. Era solo un colloquio di lavoro, eppure dovevo difendermi da un corpo che mi si allungava intorno, inesorabile come lava. 

Passato e presente. In ognuno di questi casi è trascorso un tempo larghissimo prima che la vedessi e la riconoscessi: la sottile o più esplicita violenza. Prima che comprendessi davvero quello che una volta mi è stato detto, quello che una volta mi è stato fatto.

E non avrei mai messo in fila questo elenco di miserie se non avessi letto Nei nervi e nel cuore, di Rosella Postorino. Un libro che è uno scrigno segreto lasciato aperto per chiunque voglia affondarci le mani, per chiunque voglia rubare da lì qualcosa che serve, qualcosa di prezioso. 

Postorino ha costruito un saggio lucente e sincero che è la storia intima di una vita. La vita di una bambina, di una figlia, di un’adolescente, di una terrona che si definiva tale prima che lo facessero gli altri, per non sentirsi discriminata. Una studentessa, una fuori sede. Infine, la scrittrice. Una donna del presente, madre per scelta di ogni parola e di nessun figlio. 

L’emancipazione dallo sguardo maschile, «l’ostinata voglia di riscattarmi, anzi di riscattarci». Il peso politico, culturale e sociale del corpo, il suo e quello delle altre. Le altre, sì. Che attraversano queste pagine, ecco la meraviglia, diventando sempre NOI. «Molte donne della mia generazione si sono interrogate, negli ultimi mesi, sul patriarcato subìto e su quanto abbia condizionato la loro esistenza. Mi ha colpita che in queste testimonianze i padri venissero nominati di rado. Se penso al primo potere maschile che ho incontrato, penso a mio padre. Se penso al veto sul mio corpo, al confine sottile tra protezione e imposizione, rivedo la mia adolescenza con lui.»

Fra il nero e il bianco, fra il bene e il male, ci sono anche il dubbio, la strada che unisce ogni casa che abbiamo sentito tale, e quella «che ci tocca percorrere per arrivare ad avere un po’ di misericordia» (lo scriveva Natalia Ginzburg ne Le piccole virtù); l’indipendenza sudata, la consapevolezza, e perfino la possibilità di amare un maschilista: «Io l’avevo fatto con mio padre e lui neppure sapeva di esserlo.» 

Una volta un uomo le disse, alla scrittrice, che «I sampietrini erano fatti per costringere le donne a stare zitte: troppo impegnate, con i tacchi, a non inciampare e cadere.» 

Una volta un uomo le disse, dopo che lei lo aveva rifiutato: «Sembri così sensuale, e invece.» Non pensò di non essere abbastanza attraente o che l’autrice non sopportasse l’odore delle sue ascelle. Pensò solo che fosse un po’ frigida, perché non voleva andare a letto con lui.

Una volta un uomo le disse: «Complimenti, anche se io non leggo le donne. Ma mia moglie dice che è brava.»

«Ogni volta che non ho abbassato la testa davanti a questi uomini loro mi hanno detto che ero aggressiva, arrogante, che qualche scappellotto da mio padre me lo sarei meritato, da piccola» scrive Postorino. 

Così, Nei nervi e nel cuore, pubblicato da Solferino, diventerà per noi un luogo di ritrovo, anzi di partenza. Una pagina bianca, pure se già scritta, a cui affidare, anche voi, la volta in cui un uomo vi disse. 

Scrivetecela qui. O sui nostri social. Vi promettiamo che presto le daremo voce, prendendocene cura.

Il diritto di essere solo bone

di Leoluca Armigero

I reel di Miss Italia Emilia Romagna sono diventati un cult dell’estate 2024, un interminabile teatro dell’assurdo: Miss che facevano nuoto sincronizzato fuori dall’acqua; altre che giocavano (male) con le clavette; alcune che si cimentavano con il nastro o con un bel monologo comico, attrici di stand-up presso se stesse.

Qualcuna chiudeva i tortellini, qualcun’altra faceva la maglia con l’amica accanto che reggeva la coperta. C’era chi danzava, chi cantava (stonando). Una si è ritrovata a fare una french manicure stando in piedi, per dare prova delle proprie abilità di estetista. Naturalmente il presentatore era un uomo. 

Nel frattempo, un* misterioso social media manager (uno fulgido esempio di inconsapevolezza o forse un diavolo del sadismo) filmava tutto e caricava i video online: il risultato? Il teatro dell’assurdo di cui sopra, che ha riscritto la definizione di cringe sulla pelle di queste povere ragazze, colpevoli di voler partecipare a un concorso di bellezza e costrette a performare una sorta di agility per cani. Perché in una società sessista, se sei bella, devi dimostrare anche di essere brava in qualcosa. Qualunque cosa.

Lo si capisce leggendo i titoli dei giornali degli ultimi giorni sulla stessa notizia: “Incoronata Miss Italia” - sottotitolo  - “sta per conseguire la laurea magistrale”. Questa urgenza di specificare virtù che non siano strettamente fisiche è il tentativo fallito - del concorso - di sfuggire alle critiche di sessismo. Ma il vecchio adagio sulla oggettificazione del corpo femminile va senza dubbio aggiornato con un punto di vista fondamentale: non posso essere oggettificata se sono soggetto e se agisco la mia bellezza come voglio. Non devo avere un alibi per questo: il fatto è politico di per sé. Le cause dell’oggettificazione e dell’ipersessualizzazione sono invece da ricercare negli altri.

Il moralismo indotto dal femminismo bigotto (del tipo: devi coprirti se vuoi essere presa sul serio) continua a perquisire la voglia di queste ragazze di iscriversi a un concorso di bellezza, e la cosa ironica è che sia - implicitamente - lo stesso concorso di bellezza a colpevolizzarle per questo. Patrizia Mirigliani si è affannata a bandire i costumi da bagno dalla finale: “solo abiti eleganti”, si vantava nelle interviste. Ma non è forse questo il livello pro del victim blamingStiamo risolvendo il problema del sessismo nei concorsi di bellezza aggiungendo il sessismo intrinseco all’equazione vestita=brava ragazza? E scoperta=cattiva?

Come al solito, stiamo ribaltando il problema di chi sessualizza queste ragazze, rilanciandolo su di loro, passando la palla avvelenata, coprendo il loro corpo, anziché educare lo sguardo degli altri. A partire dai cameraman che le riprendono fino ad arrivare ai giurati che le osservano, le persone che le guardano e i giornalisti che ne scrivono.

Ma non solo. Le stiamo anche accusando di essere responsabili degli stereotipi sessisti diffusi nella società: sono loro che devono smentire il luogo comune per cui se sei bella non puoi essere anche intelligente o brava in qualcosa. Ma anziché mettere sotto accusa il sistema che asseconda lo stereotipo, invertiamo l’onere della prova. Con il risultato di accrescere le aspettative in capo al femminile, di moltiplicare quello che viene richiesto alle donne, di pretendere da loro sempre maggiore performatività facendole sentire ridicole, inadeguate, chiedendo loro altro da quello per cui sono lì. Esattamente come accade nella nostra società.

II sessismo è chiedere a una donna che voglia fare altro, di essere anche bella; a una donna che voglia essere solo bella, di saper fare anche altro. Sessista è anche voler salvare una donna da uno stereotipo sessista, perché è esattamente questo che fa la società sessista: trovare un modo sempre nuovo per esercitare il controllo sui corpi, cambiare le regole del gioco non appena diventi brava a giocare.

Ti chiede di parlare quando tu hai solo voglia di essere bella, ti chiede di essere bella quando tu hai solo voglia di parlare. Facendoti sentire, sempre, in ogni caso, inadeguata, mettendoti alla prova su cose diverse da quelle per cui sei lì. E i commenti negativi - che si abbattono sull’obiettivo sbagliato - esprimono al meglio lo stupore per questo cortocircuito: guardano il dito anziché la luna. 

E così le miss continuano a fare la danza del ventre, a riscrivere (come se ce ne fosse il bisogno) il testo di Shallow, a inerpicarsi su qualche velleità artistica o a inventarsela, quando non ne hanno. Non siamo tanto distanti dalle prove di portamento coi libri sulla testa. Quale brand identity inseguono le aziende che fanno da sponsor a tutto ciò? non è dato saperlo. Possiamo definire empowerment queste tipo di prove da foche del circo? Dovrebbe essere davvero solo questo, il motivo per dire che per noi, Miss Italia, finisce qui. 

- I bombardamenti in Libano - Il Post 
Scuola, perché ogni anno siamo senza insegnanti - Il Post
Turetta e il processo privato - Huffington Post
- Filler: è iniziata l'era dello sgonfiamento - Rivista Studio
Perché Vermiglio merita la candidatura agli Oscar - Internazionale 
- La propaganda 
sui dati del boom occupazionale - Valigia Blu
- Referendum: la Lega vuole abolire le raccolte firme online - Fanpage

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