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Aborto, a che punto siamo

Aborto, a che punto siamo

Apr 19, 2024

di Federica di Martino

L'8 marzo del 1972 migliaia di donne e soggettività scendono in strada compatte per raggiungere il luogo di ritrovo a Campo de' Fiori, a Roma. Gli slogan, incisi sui cartelloni, spettinano il silenzio borghese e puritano delle vie del centro con messaggi di una forza dirompente: “Il matrimonio è una prostituzione legalizzata”; “Legalizzazione dell'aborto”; “Liberazione omosessuale”. Tra le partecipanti all'evento spunta anche Jane Fonda, che già si era attirata numerose critiche nel suo Paese per le contestazioni alla guerra in Vietnam.

Nonostante le ottime premesse, la manifestazione verrà ricordata soprattutto per altro: le cariche della polizia, che per la prima volta agivano la violenza repressiva nei confronti delle donne in un contesto pubblico di espressione collettiva di piazza.

Moltissime le donne ferite, tra cui Alma Sabatini, leader storica del femminismo italiano e promotrice del “Movimento di liberazione delle donne”. La “cortea”, come veniva definita dalla stessa Sabatini, si disperde, e l'esperimento finisce a suon di manganelli. Vi ricorda qualcosa? L'onda lunga del '68, comunque, non si è arrestata, tanto da arrivare direttamente ai giorni d'oggi, dove se per alcuni versi ci troviamo di fronte agli stessi slogan e alle medesime rivendicazioni, per altri versi facciamo i conti con una storia e un tempo diverso, che così come ci restituisce forme nuove di riappropriazione - anche sui diritti riproduttivi - ci impone al contempo la necessità di fermarci, di riavvolgere il nastro degli ultimi mesi, per osservare quello che ci accade attorno.

Fermarsi per muoverci, osservare per agire, riflettere per attivarsi. Leggo perfettamente l'ossimoro insito in questo postulato, ma la chiave di lettura della contemporaneità è estremamente complessa, e dunque tocca attrezzarsi di ingegno e sguardo lungo, pur se si ha voglia solo di incrociare le braccia e fermarsi a scioperare.

Partiamo dunque da noi, dal nostro Paese.

Nel marzo del 1972 il dibattito sull'aborto imperversava a partire da una richiesta univoca: bisognava fuoriuscire dalla clandestinità. Ce lo avrebbe ricordato l'anno successivo la storia di Gigliola Pierobon, che ha subito un processo proprio per aborto clandestino, spostando la riflessione dalle piazze ai luoghi dei partiti e alle aule del Parlamento e del Senato. Depenalizzazione o statalizzazione? Questo era il “to be or not to be” del tempo.

La risposta la conosciamo, ed è racchiusa in un numero: 194, la legge che dal 1978 regolamenta il diritto di aborto in Italia. Una legge che da molte viene definita “di compromesso”, proprio perché di fondo scontentava chiunque, ma pareva l'unica strada perseguibile per provare a regolamentare una pratica che si realizzava nella riservatezza delle cliniche private, per le più abbienti, su qualche tavolaccio delle “mammane” per le meno fortunate, o ancora nel cesso di casa propria davanti a un ferro di calza rovente o rimedi casalinghi per le più disperate.

A distanza di 46 anni una legge che definisca l'aborto come un diritto ce l'abbiamo, e per alcuni questo basta a definire la questione chiusa.

Ad altri, distrattamente, tocca l'obbligo morale di ribadire sempre che quella legge non va toccata per nessun motivo e che a noi spetta il compito di difenderla da ogni possibile attacco. Per questo l'8 marzo, tra una cosa e un'altra, potremmo pure vedere un sempreverde “giù le mani dalla 194” per dimostrare di avere a cuore la questione ma senza attraversarla troppo. Non lo farò io a questo giro, ma la costeggerò per arrivare alle ricadute che ci troviamo attualmente ad affrontare.

La legge 194/78 contempla in sé una grande contraddizione: è una legge che garantisce il diritto d'aborto riconoscendo però il valore sociale fondante della maternità. Simpatico, non credete? Eppure è da questo presupposto che la statalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza regolamenta l'aborto non come libera scelta autodeterminativa, ma come estrema ratio di fronte all'impossibilità di diventare madre.

Infatti, nel testo, non si parla mai di scelte mentre si enumerano le condizioni di impedimento, e questo è un dato fondamentale, perché allo stesso modo si favoriscono da un lato tutte le iniziative che spingano le donne a desistere dalla possibilità di diventare madre, e dall'altro si legittima la scelta da parte del personale medico e sanitario di sottrarsi da questa pratica. A quarantasei anni dall'approvazione di questa legge, il diritto d'aborto è evidentemente svuotato dall'interno, privandolo della propria nuclearità.

La geografia politica del Paese, ad oggi, ci porta a confrontarci con l'istituzione di un Ministero rivolto alla famiglia e alla natalità, la cui rappresentante Eugenia Roccella ha pubblicamente definito l'aborto “purtroppo” come un diritto. Allo stesso modo non ci troviamo più soltanto a confrontarci con lo strapotere del personale obiettore, ma anche a quello dei gruppi e movimenti antiabortisti, che da piccole realtà di nicchia, guardate quasi con l'indulgenza del folklore, sono entrate nelle aule delle Istituzioni, nelle scuole e nei luoghi della salute pubblica.

Nel 2024 il Piemonte, grazie all'assessore alle politiche sociali Maurizio Marrone di Fratelli d'Italia, ha destinato ben 940 mila euro per il fondo “Vita nascente”, destinato ad azioni, gestite da gruppi e associazioni, rivolte a donne che scelgono di non abortire. Lo stesso assessore Marrone ha promosso la cosiddetta “stanza dell'ascolto” all'Ospedale Sant'Anna di Torino con relativa convenzione dell'Ospedale con il Movimento per la Vita. La regione Lazio, guidata da Francesco Rocca, ha approvato il “bonus mamme” che apre alle associazioni pro vita escludendo i consultori familiari dall'assistenza alle donne per la presentazione delle domande per i voucher. Ma questi sono solo alcuni esempi di un modello territoriale che si sta espandendo e che soprattutto apre alla replicabilità di azioni e finanziamenti in tutta Italia.

A livello nazionale, abbiamo ben quattro proposte di legge per il riconoscimento giuridico del feto, il raccoglimento di oltre 160mila firme per la pdl “Un cuore che batte” (che dunque dovrà essere discussa in Parlamento, promosso da ben 14 tra gruppi e associazioni per richiedere l'obbligo di ascolto della contrazione fetale prima di poter interrompere una gravidanza) e un'altra proposta è n arrivo per vietare direttamente l'accesso all'aborto.

Anche dal fronte estero la situazione negli ultimi tempi sembra offrirci dei segnali preoccupanti. Negli Stati Uniti, il rovesciamento della sentenza Roe vs Wade da parte della Corte Suprema nel giugno 2022 ha creato un prima e un dopo sul fronte dei diritti riproduttivi che ha investito tutta la società occidentale, e come vedremo anche la stessa Europa.

L'annullamento della sentenza che da più di 50 anni permetteva alle donne negli Usa di accedere all'aborto, infatti, ha fatto sì che fossero i singoli Stati a individuare forme di regolamentazione interna sui termini della salute riproduttiva. Ad oggi sono ben 26 gli Stati che hanno imposto limiti per accedere all'aborto con relativo aumento delle restrizioni. Le restrizioni, tuttavia, non hanno ridotto il numero di aborti, che anzi risultano addirittura aumentati. Secondo i dati del Guttmacher Institute, gli aborti legali tra gennaio e giugno del 2023 sono stati 511.900 (nel 2020 erano stati 465.000), con un incremento proprio in quei Paesi con maggiori limitazioni.

Il problema della mancanza di accesso investe, come sempre d'altronde, le fasce più deboli della popolazione, che sono quelle che non possono permettersi di spostarsi da un Paese a un altro, ritrovandosi a portare avanti gravidanze indesiderate o a ricorrere a metodi non sicuri. E se da un lato l'attuale Presidente Biden cerca di favorire l'accesso alla contraccezione gratuita e alla contraccezione d'emergenza per provare a limitare i danni di misure coercitive, dall'altro vediamo che è anche a partire dai diritti riproduttivi che si giocheranno le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, anche a partire dai nuovi referendum che dovrebbero essere organizzati in più di dieci Stati, compresi alcuni cruciali a livello politico come Nevada, Florida, Pennsylvania, Arizona e Iowa. Sulla scorta di questi bei venti reazionari, anche l'Europa comincia dunque a prendere le misure e confrontarsi, dunque, con la necessità di prendere una posizione chiara sui temi della salute riproduttiva.

La Francia ha inserito la libertà di aborto in Costituzione, una decisione storica e per nulla scontata data la maggioranza di senatori centristi e di destra, che prevederà l'introduzione, nell'articolo 34, della frase “la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza”. La Francia, dunque, diventa il primo Paese al mondo a inserire il diritto di aborto in maniera così esplicita nella propria Costituzione.

Una flebile speranza arriva pure dalla Polonia, che se da un lato ha una delle leggi più restrittive d'Europa - tanto da prevedere l'accesso all'aborto solo in caso di stupro, incesto o nei casi di pericolo di vita per la donna -, dall'altro con la recente vittoria della coalizione europeista guidata da Donald Tusk alle ultime elezioni, ha aperto lo spiraglio alla possibilità di una modifica dell'attuale legge, anche grazie una recente proposta presentata dall'AFP per depenalizzare l'assistenza all'aborto e legalizzarlo fino alla dodicesima settimana.

Misure stringenti anche da parte di Spagna e Germania, soprattutto nei confronti dei gruppi e movimenti antiabortisti. Nel caso della Spagna, infatti, è stata avviata una modifica del codice penale per punire “chi ostacola l'esercizio del diritto all'interruzione volontaria di gravidanza attraverso atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi”.

La Germania, invece, dopo aver eliminato nel 2022 una legge risalente all'epoca nazista che vietava di fornire informazioni sull'aborto parlandone pubblicamente, nel 2024 ha approvato un disegno di legge per impedire a gruppi e associazioni di protestare contro l'aborto davanti ai consultori e presidi specifici per garantire l'IVG.

Movimenti complessi e articolati che ci restituiscono il fatto che in tutto il mondo il corpo delle donne e le scelte che operano sulla propria sessualità continuano ad essere un campo di battaglia su cui agiscono scontri violenti, in molti casi atti a piegare e assoggettare la libertà individuale per controllare i termini della riproduzione.

La storia del corpo e della sessualità attraversano

il tempo, la storia, le generazioni

e le marginalizzazioni, restituendoci, attraverso

la lotta e la consapevolezza a co-costruzioni

di trame collettive che riscrivono le forme

del nostro desiderio.

Per quello che è stato, e che non vogliamo mai più che torni ad essere, per quello che non è ancora arrivato e per forme nuove di rappresentazione di una coralità che fuoriesca dalle tracce dell'incaglio familistico: buon lotto marzo.

QUESTO PEZZO FA PARTE DI EXTRATHEPERIOD,
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