Industria in crisi? 3A e 4A ingestibili ...

Industria in crisi? 3A e 4A ingestibili e la promessa dei live-service game!

Mar 08, 2024



In Ep 076 di L’Arcade di Ale ho parlato molto liberamente dello scenario da Fallout che l’industria dei videogiochi sta vivendo in questo inizio 2024; molti pensavano che il periodo fosse finito con gli ultimi mesi del 2023, ma le ondate di licenziamenti stanno proseguendo e molti si stanno divertendo a creare scenari post-nucleari. 

Non credo sia il caso, anche se istiga moltissimo il click. Possiamo fare di meglio e in questo frangente, ci proverò. 

L’industria del gaming sta per innescare un doomsday device e dobbiamo prepararci a vivere chiusi in un vault fino a nuovo ordine? 

Non credo.

In particolare: sono convinto che quello a cui andremo incontro sarà piuttosto una riforma del sistema economico che governa il gaming e che, si spera, possa influenzare anche altri settori dell’intrattenimento; poiché il discorso condivide alcune problematiche con altre economie. 

Una specifica prima di entrare nel vivo: non posso coprire TUTTO l’argomento nella sua vastità. Cerchiamo di combattere questa ADHD analitica che spinge ogni discussione ad allontanarsi dal focus per prendere in considerazione TUTTO e non arrivare mai da nessuna parte. 

Scelgo un fuoco: il MACRO, lo sguardo ampio sull’industria tutta. 

Cosa significa?

Che non entrerò nei dettagli dei licenziamenti e non parlerò dei licenziamenti nello specifico. Sono conscio di come questi siano ANCHE creati da una artificiosa, temporanea crescita del mercato avuta durante la pandemia, la cui conseguenza è stata una corsa a assunzioni di massa che tuttavia erano sostenibili solo e esclusivamente in quella particolare finestra sul mondo, non oltre. 

Ci sono MOLTI altri fattori riguardo questo argomento. Allontaniamocene e parliamo dello stato GENERALE dell’industria.

Ripongo la domanda: l’’industria del gaming sta per innescare un doomsday device e dobbiamo prepararci a vivere chiusi in un vault fino a nuovo ordine?

Non credo. 

Ripropongo l’assunto: sono convinto che quello a cui andremo incontro sarà piuttosto una riforma del sistema economico che governa il gaming e che, si spera, possa influenzare anche altri settori dell’intrattenimento; poiché il discorso condivide alcune problematiche con altre economie.

Cosa non funziona nell’industria? 

Sono piuttosto convinto che il manuale del CEO/Manager vada preso e buttato fuori dalla finestra, per essere probabilmente riscritto quasi in toto su di un modello economico nuovo, lontano da una logica che, a oggi, sta causando forti incertezze. 

Attualmente, nel gaming, si cercano due cose:
- Modelli capaci di garantire agli investitori una sicurezza: live-service game che generino un flusso continuo di guadagni, piuttosto che l’incertezza di grossi investimenti su singole opere che possono floppare.
- Ridurre i costi dell’industria.

Affrontiamo le due questioni che, per certi versi, sono indissolubilmente collegate. 

La prima: i live-service game. 

Il modello Fortnite piace moltissimo a chi investe. Perché a fronte di un investimento contenuto e spalmato lungo il tempo, offre un guadagno costante per molti anni. Non a caso in questi giorni pare che WB, parlando agli investitori, abbia voluto fornire rassicuranti scenari dopo il flop di Kill the Justice League, dicendo che stanno lavorando su progetti live-service più coerenti rispetto alle loro IP e alla fanbase. 

Molti hanno pensato già a Hogwarts Legacy, il cui successo, capace di portare giocatori esterni al gaming, potrebbe diventare esagerato se esteso su un servizio live-service. 

Immaginatevelo: un mondo come quello di Hogwarts Legacy con logiche da live-service game, costantemente aggiornato e che garantisca ai giocatori la possibilità di vivere per anni nel mondo di Harry Potter. 

Avrebbe senso per WB riprovarci dopo il flop dell’IP DC?

Sì, perché sembra che il successo di un live-service game possa tranquillamente coprire l’insuccesso di altri 4 o 5 tentativi, garantendo nel tempo guadagni che facciano tutti felici del proprio investimento. 

Il modello Fortnite (Genshin Impact, LoL e affini) rappresenta una redditizia ancora di salvezza e se poggiata su una IP come quella di Harry Potter, potrebbe rompere internet. 

Guardate con quanta ferocia Disney ha recentemente investito in Epic (circa 1 miliardo e mezzo di dollari), per portare i propri personaggi nel mondo della casa di Fortnite, sfruttando le possibilità di un DEV che è riuscito in questo modello più di altri. 

A margine rimane anche una questione: rincorrere un modello che ha funzionato alla grande sul mercato (vedi Fortnite) è spesso una strada verso l’inferno, perché si sta cercando di imbottigliare un genio spesso nato da una serie di circostanze irripetibili, una sorta di tempesta perfetta. 

La prospettiva di un investimento lucrativo a lungo termine è allettante, ma sembra un po’ come il tizio che spende centinaia di euro in una lotteria che non vincerà (statisticamente) mai. 

Guardate ai titoli che hanno perso la lotteria: Anthem, Fallout 76, Babylon's Fall, Avengers, Kill the Justice League, Skull and Bones. 

Nota: Fallout 76 si è abbastanza ripreso e ora è un’esperienza ricca, ma la curva di crescita è stata lenta e dolorosa e non è chiaro quanto ne sia valsa la pena per Bethesda. 

Seconda questione, un po’ più ampia e spinosa: ridurre i costi dell’industria.

Da diverso tempo si sta parlando dei costi di AAA e della nuova, surreale, categoria identificata come AAAA: ovvero progetti così onerosi da superare i budget delle produzioni hollywoodiane più ambiziose. 

Tuttavia credo che per certi versi sia una scusa, piuttosto puerile, per coprire terribili scelte da parte di CEO o Manager vogliosi di fare carriera. 

L’utilizzo delle IA sembra la nuova frontiera del risparmio e molti sono convinti che il loro impiego salverà l’industria; volendo aprire una microscopica parentesi, le IA saranno un utile tool di supporto e non credo saranno davvero utili oltre.

Ripeto: credo sia una bellissima bugia. 

È sicuramente vero che i costi del gaming si sono alzati ma, come ha provato l’indagine offerta su Ubisoft offerta da Insider Gaming, progetti AAAA come Skull and Bones finiscono con il diventare tali a causa di scelte manageriali senza senso: si è parlato di continui cambi di concept e molteplici creative director assunti e licenziati; come di intere giornate passate a guardare il nulla in attesa che qualcuno decidesse quale nuova rotta dare al titolo e al suo sviluppo; e infine la voglia di Ubisoft di sfruttare prima le microtransazioni e poi gli NFT, finendo poi per ritrattare tutto. 

A margine: mentre Ubisoft ha speso 10 anni e oltre 200 milioni per sviluppare un flop, la corona la sta vincendo Helldivers 2, meritevole di aver conquistato il pubblico con una proposta originale. 


Potremmo parlare anche degli ultimi capitoli di Call of Duty, come di Kill the Justice League. Due opere disperatamente alla rincorsa di formule che per poco hanno funzionato sul mercato, per poi dissiparsi durante lo sviluppo dei titoli. 

Call of Duty ha rincorso il modello PUBG e più in generale la popolarità del battle royale. Una wave durata una manciata di anni.

WB ha incastrato Rocksteady, una casa dedicata a opere single player di grande impatto, nello sviluppo di un titolo live-service rincorrendo prima il modello Marvel’s Avengers, nel frattempo fallito, lasciando tracce di loot e spacchettamenti cosmetici EAeschi a pagamento. 

Su EA bisognerebbe aprire un capitolo a parte, considerando quante volte è riuscita a mettersi al centro del mirino delle ire dei videogiocatori, creando opere mosse da meccanismi borderline al gioco d’azzardo. 

I grandi ambienti corporate spendono tanto ma spesso male, affidando le proprie scelte di mercato a personaggi che non hanno uno sguardo attivo o attento sull’industria stessa. 

In Press Reset di Jason Schreier, si racconta di quella volta che Warren Spector (autore di System Shock, Deus Ex e Ultima Underworld) propose un titolo western e di come gli venne detto che nessuno ci avrebbe mai giocato. Qualche anno dopo arrivò sul mercato Red Dead Redemption, titolo Rockstar che ha conquistato il mercato e la critica. 

Contestualmente, Spector racconta della frustrazione provata nel dover lavorare con i manager Disney che, da un giorno all’altro, passarono da cinema e TV al gaming, imponendo e contestando al designer scelte delle quali non capivano impatto e meccaniche. 

Il tempo speso da Spector su Epic Mickey non è stato in toto un piacevole onore, come si prospettava per un fan del topo quale è Spector.

[Qua vi parlo un po' di Spector e della mania per le analisi di mercato]

La gestione di quella Disney, una volta acquisito il pacchetto Lucas, uccise LucasArts e l’ambizioso Star Wars 1313. Il titolo doveva rappresentare il nuovo corso della compagnia e invece è rimasta una promessa appesa a mezz’aria. 

Torno a parlare anche del modello Ubisoft che, cercando di ottenere il massimo risultato a fronte di un minimo sforzo, da diversi anni ha preso a produrre in serie, riciclando i medesimi stilemi di gameplay. 

Dal 2018 al 2021, hanno rilasciato ben tre Far Cry: Far Cry 5, Far Cry New Dawn e Far Cry 6. 

Dal 2017 al 2023, hanno rilasciato ben 4 Assassin’s Creed, toccando una nuova formula di guadagno a lungo termine con Valhalla: il gioco è infinito, ripetitivo, ideato per mantenere il giocatore in partita, investito in DLC a pagamento e altre meccaniche utili ad agganciarlo a un’opera estenuante nella sua inutile, vacua vastità. 

Nel mezzo abbiamo moltissimi report legati a una Ubisoft in forte crisi, che ha tentato il colpaccio affidando il remake di Prince of Persia: le sabbie del tempo a Ubisoft Mumbai. Uno studio nuovo, inesperto e in una nazione dove i costi medi di salario e mantenimento del personale sono irrisori rispetto agli standard occidentali. 

Il risultato?

Il trailer era talmente imbarazzante che Ubisoft ha dovuto riportare a casa lo sviluppo e ad oggi c’è grande incertezza riguardo l’uscita dell’opera. 

La casa francese ha provato a cavalcare l’onda dei remake e della nostalgia producendone uno con la mano sinistra, a basso costo, prendendo per fessi i fan di una casa che una volta sapeva innovare e creare stilemi poi imitati dall’industria tutta. 


Una similare operazione sta arrivando da Konami con il remake di Silent Hill 2. Affidato a Bloober Team, tecnicamente non proprio brillante, si è recentemente mostrato con un trailer preoccupate e le mani avanti del team di sviluppo fanno sudare freddo. Se Konami avesse voluto investire in un remake in stile Capgod, avrebbe puntato molto più alto. 

Si potrebbe parlare anche del decadimento di PES, ora eFootball, ma sarebbe un reiterare il concetto live-service espresso sopra.

Torniamo a Ubisoft, ripescando Beyond Good and Evil 2, intrappolato in un development hell da circa 15 anni: credete che non sia costoso avere tale progetto in sviluppo da così tanto tempo e senza una direzione chiara?

Questi sono alcuni esempi di mali interni all’industria che non giustificano la ricerca di tagli tramite IA o altri espedienti. I problemi sono spesso ai piani alti, dove manager e CEO ben pagati prendono decisioni totalmente miopi rispetto all’industria, dimostrandosi capaci di guidare la propria compagnia. 

Realizzare titoli AAA di grande impatto è obbligatoriamente un investimento da capogiro?

Guardiamo alcuni esempi.

Nel 2019 Remedy arriva sul mercato con Control. Il CEO Tero Virtala, stando a un pezzo pubblicato da gamesindustry.biz, dichiara che il titolo è stato sviluppato in tre anni e con meno di 30 milioni di budget. 

Nell’arco di 4 anni, stando a quanto comunicato da Remedy, il titolo ha venduto oltre 4 milioni di copie, generando un guadagno di oltre 100 milioni di dollari. 

Control è un titolo semplice quanto brillante nelle sue meccaniche e grazie anche al successo di Alan Wake 2, lo sviluppo del sequel ha preso velocità e probabilmente lo vedremo tra qualche anno. 


Parlando di Alan Wake, il sequel è costato circa 75 milioni e, sempre secondo i dati di Remedy, ha già venduto oltre 1.3 milioni di copie, ripagando parte del budget (compreso il marketing), diventando il fast selling game di Remedy.

Tutto questo divenendo il survival horror di riferimento per l’industria: per idee di design, narrazione e per il clamore pop che ha generato dopo la sua uscita. Senza contare che da Quantum Break a oggi, grazie al Northlight Engine, la casa finlandese è una delle poche che sfida le generazioni, cercando anche su PC di mostrare i muscoli e creare mondi profondi.

Remedy ha realizzato un’opera artisticamente alta, pur facendo mercato e vendendo in digitale a un prezzo più contenuto, abbattendo l’idea diffusa da molte corporation secondo cui “i giochi dovrebbero costare molto di più.” 

Stessa cosa si può dire per Baldur’s Gate 3, che ha decisamente spostato l’asticella degli standard di sviluppo. Costato 100 milioni e realizzato ascoltando tutti i feedback della community che ha giocato il titolo in early access. 

Larian Studios ha lavorato di fino, realizzando un titolo dalla rigiocabilità infinita, con una narrazione mai ridondante o banale, affascinando critici e giocatori di tutto il mondo e definendosi come un GOTY fondamentale per l’industria tutta, che sbugiarda la favola dei costi per realizzare un grande titolo.

CD Projekt RED, schiava degli investitori, ha promesso con Cyberpunk un titolo che avrebbe ridefinito i GDR, lasciando al giocatore una libertà mai vista e sbocchi unici. Larian Studios, con molta più umiltà, lo ha fatto davvero.

Nota importante: Cyberpunk 2077, secondo un pezzo del 2023 di IGN, per sviluppo, marketing e aggiustamenti vari e DLC, sarebbe costato in totale circa 440 milioni.


Guardiamo anche a Kojima Production e al fenomeno Death Stranding. La produzione è stata al centro di tante voci che la raccontavano fallimentare. Tuttavia non è così. Il titolo, costato circa 100 milioni, ha venduto oltre 10 milioni di copie in 3 anni, riuscendo ad accontentare sia il mercato console che quello PC. DS è diventato un fenomeno pop di culto, nonostante la sua forma quasi art house che ha “inventato” un genere, arrivando persino su iPhone.  

Kojima Production, uno studio fuori dalle logiche delle grandi corporation, può vantare: Death Stranding 2 in fase di sviluppo finale (+ adattamento cinematografico); O.D. un nuovo progetto per Xbox; e un nuovo titolo, la cui produzione partirà dopo il completamento di DS, che sembra essere l’erede spirituale di Metal Gear Solid (esclusivo PlayStation.) 

Guardiamo un secondo a Elden Ring. Il titolo, acclamato da critica e pubblico, è costato circa 200 milioni, entrando nell’arena di quelle opere definite molto costose. Tuttavia, ha venduto 23 milioni di copie dalla sua uscita. 

L’imminente e tanto atteso DLC a pagamento riaccenderà l’interesse per l’opera e sicuramente nuovi utenti torneranno a comprare Elden Ring + il DLC. 

Ha riciclato asset?
Non è davvero next gen?
Importa se l’esperienza di gameplay per l’utenza è straordinaria e per certi versi inimitabile?
Importa rispetto a un mercato in media piuttosto addormentato?

Parliamo di un titolo che ha ridefinito gli open world: Breath of the Wild.

Il titolo Nintendo sembra sia costato circa 120 milioni e molti, all’epoca (2017) erano preoccupati dell’enorme spesa affrontata dalla casa di Kyoto. Il titolo al 31 dicembre 2023, vanta oltre 31 milioni di copie vendute. 

Il sequel, Tears of the Kingdom, ha venduto, solo in Giappone, 2.24 milioni di copie nei primi 3 giorni di uscita. A Dicembre 2023, vantava 20.28 milioni di copie vendute nel mondo. Il budget non è chiaro, ma si parla nella media di un AAA. 


Potrei parlarvi anche di The Last of Us Parte II (costato oltre 220 milioni, ma con 10 milioni di copie vendute al 2023) o Marvel’s Spider-Man 2 (costato 315 milioni, ma che ha venduto 10 milioni di copie al 24 febbraio.) 

Esempi di AAA molto costosi ci sono e rientrano nella nicchia di titoli che investono tanto su esperienze single-player parte di franchise con una grande fanbase e una previsione di mercato molto favorevole.

Il punto riguarda però i titoli sopra citati, i cui budget non sono così astronomici ma che possono comunque funzionare sul mercato, pur facendo progressi e sperimentazione. 

Il gaming è sicuramente un industria costosa e rischiosa, come lo è quella del cinema e della TV, ma non è tagliando gli ingranaggi alla sua base o inseguendo wave spesso passeggere o quasi impossibili da ricreare, che si può sperare di renderla sostenibile. 

I titoli citati, come moltissimi altri che hanno spaccato il mercato, prendiamo Capgod con i suoi remake di Resident Evil, hanno dimostrato come spesso il migliore investimento va fatto nelle menti che guardano alla gestione dei progetti. 

Emulare una formula esistente convinti di poterla riprodurre all’infinito con la prospettiva di un enorme guadagno, è una rincorsa disperata alla lotteria.


Ce lo sta dimostrando il recente passato di Ubisoft, tanto quanto le azioni di altre grosse corporation: vedi la scarsa pianificazione di Sony nel gestire la generazione PS5 e i suoi studios che, con Naughty Dog, hanno rischiato molto spendendo in un live service di The Last of Us, poi cancellato… forse facendo cosa buona e giusta. 

Il gaming deve cambiare chi prende le decisioni. Deve buttare dalla finestra il manuale del CEO che pensa alla crescita e capire come un buon leader, con idee di design interessanti e precise, possa fare ai propri investimenti molto più bene di quanto non faccia l’indagine di mercato o la lotteria dei live-service (o qualsiasi altra formula funzioni in un dato momento storico, senza adeguata ricerca e studio che porti a nuove interpretazioni della stessa.) 

Senza contare che vi è lo spaventoso problema di un’industria che è soggetta a stilemi di crescita economica senza senso. Più uno studio diventa corporation (vedi Ubisoft o EA), più deve garantire, annualmente, un dato di crescita agli investitori; oppure, in alternativa, un modello economico che abbatta i rischi a fronte di una costante entrata… torniamo sempre al modello live-service, o al Game Pass, perché no!

Piccola parentesi da dedicare a Embracer Group, holding che ha investito cifre astronomiche nel gaming acquisendo diversi studi. Recentemente ha ripensato i suoi investimenti e ha venduto Saber Interactive, ma vorrebbe anche liberarsi di Gearbox. 

Concludendo. 

Non credo l’industria si auto distruggerà e sono convinto che la crisi sia soltanto una nuvola temporanea che porterà alla ri-definizione di una formula economica che non funziona più nel gaming, come nel cinema. 

Chi comanda deve avere idea di cosa sta trattando e di conseguenza avere anche capacità di diversificare le ambizioni degli studi di sviluppo. La stessa Ubisoft ha fatto i suoi lavori migliori quando ha moderato le ambizioni e dedicato un pensiero al concept: Child of Light, Rayman Legends, Valiant Hearts, Mario + Rabbits o Immortals Fenyx Rising.  

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