di Corinna De Cesare e Leoluca Armigero
“La taranta, i panzerotti, le luminarie, i bracciali fatti con i noccioli di ulivo”. La premier Giorgia Meloni ha concluso il G7, il vertice informale fra le principali economie dei 7 paesi più avanzati, parlandone così. Perché attorno alla Puglia - e l’ultimo G7 ne è la conferma - è stato costruito un immaginario volto alla sua totale commercializzazione.
Lo stereotipo Puglia, le signore che fanno le orecchiette come brand, la loro immagine esasperata, caricata, traslata dai vicoli di Bari vecchia a ogni luogo in cui potessero riprodurre il significante senza il significato. Lo scopo economico diluisce l’autenticità fino a disperderla.
Esattamente com’è accaduto nell’ultimo vertice dei “grandi della Terra” in cui c’era la Puglia sí, ma non quella che conoscono i pugliesi. Un enorme parco giochi in cui i pugliesi vengono sempre più sospinti ai margini, dietro le quinte di questo grande show o, alla peggio, diventano parte integrante della scenografia, ma solo se si prestano all’immaginario macchiettistico che la premier è stata ben felice di nutrire e validare. Qualcun altro avalla inconsapevolmente gli stereotipi, sperando si traducano presto in un’occasione di guadagno.
Carlo è uno studente universitario in piena sessione estiva e, nonostante il richiamo del mare, nei giorni del G7, aveva preferito restarsene sui libri per superare al meglio il prossimo esame. Dalle tapparelle chiuse, sentiva solo il rumore degli elicotteri sulla sua testa a tutte le ore.
Quando infine è uscito di casa per andare a sostenere l’esame, ha imboccato la statale e ha fatto una piccola scommessa con se stesso che immancabilmente ha vinto: il lunghissimo e nuovo manto di bitume, disteso a dovere per non far sobbalzare in auto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, arrivava solo fino a Grottaglie. Cioè dove ha sede l’aeroporto in cui i 7 leader mondiali hanno toccato terra nei giorni scorsi. Oltre quel punto, la strada è tornata a essere quello che è sempre stata: una groviera piena di buche, dissestata come da sempre la conoscono i pugliesi.
Questo piccolo aneddoto basterebbe a comprendere l’operazione di maquillage che è stata condotta sulla Puglia in questi ultimi giorni, per ridurre al minimo i contrasti della Regione e rendere più tenui i colori violenti della sua povertà infrastrutturale con una mobilità regionale affidata prevalentemente al trasporto su gomma e una rete ferroviaria in cui solo il 20% ha doppio binario con un solo collegamento veloce giornaliero sulla linea Bari-Roma (e tempi di percorrenza mediamente più lunghi che in altre tratte nazionali). Ma sapientemente, il tocco magico del G7 ha reso i panzerotti più buoni, le luminarie più luminose; il trucco ha appianato ogni asperità, cancellato gli inestetismi che avrebbero senz’altro rotto l’incantesimo.
Mentre Biden risaliva a bordo dell’Air Force One per tornarsene a casa, Anna, pendolare pugliese, prendeva il treno che da Andria la porta tutti i giorni a Bari, al lavoro. Dal 2016, dall’incidente ferroviario che costò la vita a 23 persone, vedendo due treni contendersi un unico binario (forse perché costava troppo farne due), Andria è rimasta sprovvista di una stazione ferroviaria fino al 2023. Ora che i collegamenti sono ripresi, i treni impiegano circa un’ora e trenta per percorrere poco più di cinquanta chilometri. Un tempo moltiplicato per due, per cinque giorni a settimana, a cui nessuno mai riconoscerà un valore economico. Nello stesso tempo, Biden ha attraversato l’Atlantico ed è tornato alla Casa Bianca.
Borgo Egnazia, resort extralusso il cui nome è persino finito sui francobolli ufficiali della grande occasione, ha raggiunto il picco di ricerche su Google: in tanti, italiani e stranieri, cercavano di capire dove si trovasse, questo paesino, questo affascinante “borgo globale”, come lo ha chiamato Meloni in conferenza stampa, di cui tutti i giornali rimbalzavano il nome. Ma la verità è che quel borgo è stato costruito solo nel 2010: non ha nulla di autentico, semplicemente replica tutto il buono della Puglia lasciando alla porta gli aspetti negativi, la gente umile del luogo e i propri problemi in primis: una notte lì arriva a costare anche 6mila euro. Si stima che grazie a questo enorme #adv, Borgo Egnazia vedrà il proprio volume di affari già milionario crescere del 20% .
E mentre alcune mani operose annodavano le mozzarelle, altre ancora, nei campi poco fuori le mura della fortezza, raccoglievano pomodori, resi meno dolci dal sudore e dal caporalato. Nei calici scorreva il vino di Bruno Vespa e intanto i vigili del fuoco in servizio per il G7 erano letteralmente parcheggiati all’ombra del supermercato Conforama, a Fasano: un caldo torrido e nemmeno un bagno chimico. Solo qualche bottiglietta d’acqua nel polistirolo, con la pia illusione che potessero mantenersi fredde.
Generalmente quando parliamo di “appropriazione culturale”, pensiamo ai popoli indigeni di chissà quale terra lontana. Eppure c’è qualcosa di colonialista nelle espressioni di questo summit: c’è la voglia di stare in Puglia ma senza i pugliesi, solo con le loro risorse; c’è il tono compassionevole verso queste persone che sembrano vivere felici nel passato e invece spesso ne sono ostaggio.
Nel frattempo c’è una maggioranza che approva il ddl Calderoli sventolando le bandiere del nord Italia, e condannando il sud a una meta di villeggiatura, a dispetto di chi ci vive tutto l’anno. E poi c’è Meloni che balla la taranta. La balla ignorando che originariamente fosse un moto di liberazione per le donne schiacciate dal patriarcato, una maniera per sfogare la frustrazione accumulata nel lavoro di cura, il finto morso di un ragno come pretesto per muovere liberamente il proprio corpo: vieni a ballare in Puglia.
Cosa resta del G7? Un moto di orgoglio collettivo ma effimero; dell’esplosione rimane solo il fumo. Le finestre di Savelletri sono ancora sporche di quella sabbia sollevata dagli elicotteri. Anna continuerà a trascorrere tutti i giorni tre ore in treno per cinquanta chilometri, Carlo a sobbalzare quando con l’auto passerà sulla statale. Perché quando la vacanza volge al termine per gli stranieri, ai locali - specie quelli più umili - rimane un lungo inverno di luoghi, comuni e fisici, al di sopra delle proprie possibilità. Ma la verità- esattamente come nella canzone di Caparezza - si configura come un elemento di disturbo. Meglio ballare.
P.s. I nomi di questo pezzo sono di fantasia ma le storie contenute in questo articolo, come quelle di Anna e Carlo, sono vere: testimonianze che abbiamo raccolto nei giorni del G7
Pride che non vedrai in tv
di Riccardo Conte
Ottanta anni fa, a Napoli i femminielli scendevano in strada a sparare contro i carri armati nazisti. Succedeva a Settembre del 1943, allo scoppio delle insurrezioni delle Quattro Giornate di Napoli. A Giugno del 1969 a Stonewall persone trans*, sex worker, sieropositive, e razzializzate rispondevano ai soprusi della polizia statunitense, dando il via a quel movimento che a Giugno ricordiamo ogni anno in vista del Pride Month. Ma la lotta delle persone LGBTQIA+ c’è sempre stata, dall’Italia a Stonewall, prima e dopo il 1969.
Oggi la comunità LGBTQIA+ ha maggiore forza, alleati, sostegno persino dalle multinazionali pronte a sponsorizzare i cortei con popstar di fiducia elette madrine ufficiali, spesso senza nemmeno un motivo valido o una battaglia intersezionale condivisa. Ma in quanto a intersezionalità, i pride ufficiali delle principali città italiane continuano a non offrire il meglio di sé.
Stando ai dati del Sonda Pride, tenuto dall’’attivista Simone Riflesso, in Italia solo 7 Pride su 10 seguono un percorso accessibile a chiunque, 4 hanno servizi igienici accessibili, e soltanto 3 prevedono punti di sosta e defaticamento. Come ha spiegato Riflesso a gay.it: “Nel 35% dei casi il problema è l’accessibilità, ma nell’80% le persone con disabilità percepiscono un atteggiamento assente proprio dalle persone che dovrebbero accoglierle”.
Spesso diciamo che il femminismo o è intersezionale o non è, e invece - ancora oggi - il Pride tende a dimenticare le altre lotte: di classe, genere, razza, età, disabilità pur avendole radicate nella sua storia - i femminielli contro il fascismo -.
Eppur qualcosa si muove fuori dai circuiti ufficiali. Lo scorso primo Giugno a Roma si è tenuto il Priot Pride, Pride romano svincolato da quello istituzionale del 15 Giugno. Stessa cosa accadrà oggi, 21 giugno, a Milano con Marciona 2024. A differenza dei Pride istituzionali, durante questi cortei sono disponibili tappi per le orecchie, snack, bustine di zucchero, cerotti, e taniche d’acqua. I percorsi sono più brevi, non si cammina alle 15 del pomeriggio sotto 40 gradi all’ombra, ma alle 17.30.
Chiunque ne sente il bisogno, può sedersi e riposare durante la marcia, e ogni intervento viene tradotto in tempo reale anche in LIS (Lingua dei Segni Italiana). Priot e Marciona, a differenza dei Pride istituzionali, sono pride ‘laterali’ o ‘antagonisti’, autofinanziati e svincolati da sponsor, dichiaratamente transfemministi (quindi a supporto di qualunque soggettività marginalizzata), che al posto delle popstar scelgono volti che i media mainstream non contemplano (l’ha fatto un anno fa anche il Bari Pride, eleggendo come madrina Bruna, donna trans* aggredita e picchiata a Milano dagli agenti della polizia a Maggio 2023).
Le forze dell’ordine non sono benvenute perché come dice il Priot loro “non rinunceranno mai ad essere perfettamente integrate in quello stesso sistema di potere che ci vorrebbe reprimere”. E non sono benvenuti nemmeno i giornalisti invadenti o i fotografi che immortalano le persone senza consenso.
Quindi i Pride possono svincolarsi dalle istituzioni? In alcune città italiane è già così: dal Rivolta Pride di Bologna che nel 2023 ha marciato insieme ad oltre 60.000 persone in piena autonomia, collaborato più volte con Non Una di Meno, e manifestato per la liberazione della Palestina (senza preoccuparsi se i brand sono d’accordo o no) fino ad arrivare a Venezia dove l’anno scorso è tornato il Laguna Pride, primo Pride sul territorio veneziano dopo quello regionale del 2014 e il Pride nazionale del 1996.
In ognuno di questi i casi sembra esserci un ritorno alle origini, dove le rivolte partono dal basso e i corpi dissidenti sono posizionati al centro. L’unico problema è che, di questi pride, potresti non saperne mai niente se non fai parte della comunità: eventi come Marciona non hanno nemmeno una pagina social (salvo un sito ufficiale e un canale Telegram a cui iscriversi) e spesso chi è fuori dai circuiti dei collettivi a malapena sa la data o l’orario dell’evento.
C’è - ovviamente - una scelta consapevole di tirarsi fuori dalle logiche ultracapitaliste e una cura maggiore verso ogni soggettività ma c’è anche il rischio di restare un ‘circuito chiuso’. Pride come quelli di Roma e Milano continuano ad avere un’affluenza enorme - Roma quest'anno un milione di persone secondo gli organizzatori -, pur con tutte le falle del caso. Nello specifico il Roma Pride quest’anno ha marciato insieme agli Stati Generali della Natalità, 28 sponsor, e 22 patrocini istituzionali tra cui 20 ambasciate di Stati in guerra.
Se un tempo le persone trans* e razzializzate erano al centro della rivolta, oggi lasciano spazio a uomini gay, bianchi cisgender e abili, associazioni della polizia, ambasciate e istituzioni che ci ‘concedono’ un evento in pompamagna, a patto che sia comodo, vendibile, e non sconvolga nessuno parlando di ‘genocidio’ o altre parole che non piacciono agli sponsor.
Se vent’anni fa lottavamo contro quest’oppressione, oggi la ‘coccoliamo’ per farla marciare insieme a noi. Ma come ha scritto Isa Borrelli “ogni emanazione di potere istituzionale repressivo non dovrebbe essere presente al Pride”.
Lo diceva anche The Gay Liberation Front nel 1970, all’alba delle rivolte di Stonewall, dichiarando che la liberazione sessuale non avverrà fino alla completa abolizione delle istituzioni. Non si trattava solo di riscrivere i ruoli di genere e le definizioni pre-impostate, ma di stabilire nuove forme sociali basate sulla sorellanza, la cooperazione, l'amore umano e una sessualità disinibita che metta al centro “tutti coloro oppressi da questa marcia, sporca, vile, e incasinata cospirazione capitalista”.
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